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L'ENFER D'HENRY-GEORGES CLOUZOT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 gennaio 2010
 
di Serge Bromberg, con Romy Schneider, Serge Reggiani, Dany Carrel (Francia, 2009)
 
Morte e resurrezione di un film mai nato, documento alquanto straordinario sul potere, la frustrazione e la follia che nascono dallo sguardo del cineasta, omaggio delirante, ad alto contenuto erotico, della Star: la riesumazione da parte di Serge Bromberg delle cinquanta ore di spezzoni, sequestrati da anni, girati dall'illustre e pure contestato regista francese Henry-Georges Clouzot non è il documentario che vi aspettate.

Non solo ricostruzione della fase preparatoria, e di quanto è rimasto delle riprese in quel 1964 della diabolica - ma in definitiva patologicamente tradizionale - gelosia di Serge Reggiani per la moglie Romy Schneider. Quanto l'itinerario, questo si infernale, di un cineasta che si perde progressivamente nel proprio sogno di perfezione e dismisura, in un desiderio che da velleitariamente teorico ed estetico si fa viscerale e distruttore. Progressione di un progetto insensato, alimentato dai mezzi sciaguratamente illimitati offerti da Hollywood: che incoraggiavano ulteriormente l'autore di opere come QUAI DES ORFEVRES, MANON, VITE VENDUTE, LES DIABOLIQUES, bollate però dalla nuova critica come “cinema di papà”. Un regista aveva inventato il procedimento affascinante di LE MYSTERE PICASSO: ma che inseguiva l'illusione faustiana di riciclarsi nel segno della parcellazione onirica e metafisica alla OTTO E MEZZO.

Affascinante e crudele (forse più del film stesso, se fosse nato), il mosaico riordinato da Bromberg conferma quanto l'esplorazione dell'inconscio di Clouzot non nascesse soltanto da esigenze estetiche: benché firmate da tre immensi direttori della fotografia come Thirard, Renoir e Lubtchansky, le immagini sperimentali (perché tali sono) di L'ENFER sono talvolta propositive, spesso già sfruttate fin dai tempi di Cocteau o del primo Bunuel. Ma il cuore del film non è nella gelosia iscritta in una sceneggiatura abortita: quanto nello sguardo di Clouzot sulla sua diva. Una Romy Schneider sublime nella coscienza della sua bellezza, nella magistrale perversione della propria carica sensuale. Non solo disponibile ai capricci di un regista dispotico: ma totalmente concessa alla vertigine del desiderio di un artista smarrito nelle proprie ossessioni creatrici.


   Il film in Internet (Google)

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